Pedopornografia autoprodotta su istigazione: la competenza si radica nel luogo di ricezione dei file


La Prima Sezione Penale, risolvendo un conflitto negativo di competenza, chiarisce il locus commissi delicti nel caso in cui il minore produca autonomamente il materiale pornografico per inviarlo all’adulto.

Con la sentenza n. 38196 del 6 novembre 2025, la Corte di Cassazione ha affrontato una delicata questione processuale relativa all’individuazione del giudice territorialmente competente nei procedimenti per pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), nello specifico caso in cui il materiale illecito sia “autoprodotto” dalla vittima su istigazione dell’imputato.

La pronuncia si inserisce nel solco interpretativo tracciato dalle Sezioni Unite, ribadendo la centralità del concetto di “utilizzazione” del minore ai fini della consumazione del reato.

Il caso e la genesi del conflitto

La vicenda trae origine da un procedimento a carico di un uomo accusato di aver indotto una minore di dodici anni a inviargli foto e video ritraenti le proprie parti intime, prima attraverso lusinghe e successivamente minacciando la diffusione delle immagini già ottenute. Sulla determinazione della competenza territoriale è sorto un conflitto negativo tra due uffici giudiziari:

  1. Il GUP di Roma declinava la propria competenza, ritenendo che il reato si fosse consumato nel luogo di residenza dell’imputato (Malo, distretto di Venezia), inteso come luogo in cui il materiale era stato “prodotto” o comunque ricevuto dall’indagato.
  2. Il GUP di Venezia, investito della questione, sollevava a sua volta conflitto, sostenendo che la competenza spettasse a Roma. La tesi del giudice lagunare (condivisa dalla difesa) equiparava il momento consumativo a quello del reato di diffusione telematica: il reato, secondo questa prospettiva, si sarebbe perfezionato nel luogo in cui la vittima aveva materialmente scattato le foto e digitato il comando di “invio”, immettendo i file in rete.

La decisione della Corte: il focus sull’utilizzazione del minore

La Prima Sezione Penale ha risolto il conflitto attribuendo la competenza al Tribunale di Venezia (luogo di residenza/ricezione dell’imputato), rigettando l’analogia con il reato di diffusione. Il percorso argomentativo della Suprema Corte si fonda sulla distinzione tra la condotta del minore e quella dell’adulto istigatore.

1. L’irrilevanza penale della condotta del minore

La Corte premette che l’autoproduzione del materiale da parte del minore non è penalmente rilevante per il minore stesso. Di conseguenza, individuare il luogo del reato nel punto in cui il minore scatta la foto o preme “invio” porterebbe all’inammissibile conclusione che la consumazione del reato avvenga “a mezzo di autore mediato”. La condotta criminosa è interamente ascrivibile all’adulto che strumentalizza la vittima.

2. Il concetto di “utilizzazione” (Sezioni Unite n. 4616/2021)

Richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, la Corte ricorda che la fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p., primo comma, si impernia sul concetto di utilizzazione. Questa si realizza quando la volontà del minore è coercita o condizionata, riducendo la vittima a strumento (res) per il soddisfacimento altrui o per conseguire un utile. Le Sezioni Unite hanno chiarito che l’utilizzazione sussiste quando si appalesano forme di coercizione o condizionamento della volontà del minore, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività.

3. Il momento consumativo: la “piena disponibilità”

Applicando tali principi al caso di specie, i Giudici di legittimità hanno stabilito che la condotta non si esaurisce con la realizzazione delle foto da parte della minore, né con il semplice invio. Il reato si perfeziona invece nel momento e nel luogo in cui le pressioni dell’agente ottengono il risultato sperato, ovvero quando l’adulto consegue la piena disponibilità del materiale pedopornografico.

Ne consegue che, in ipotesi di autoproduzione su istigazione, la competenza territoriale si radica nel luogo in cui l’imputato ha ricevuto i file, concretizzandosi in quel frangente l’offesa al bene giuridico tutelato.


Focus: Perché non è semplice adescamento?

È utile, a margine della sentenza, distinguere la fattispecie in esame dal reato di adescamento (grooming), previsto dall’art. 609-undecies c.p. Spesso si tende a confondere l’invio di foto intime da parte di un minore (sexting) scaturito da una chat manipolatoria con il reato di adescamento. La Corte precisa invece che, quando l’adulto non si limita a “tastare il terreno” ma riesce, tramite pressioni o lusinghe, a farsi inviare materiale autoprodotto, la sua condotta travalica l’adescamento. Egli diventa l’“utilizzatore” del minore, realizzando la fattispecie più grave di produzione di materiale pedopornografico (art. 600-ter, comma 1). Il minore diventa uno strumento nelle mani dell’adulto e il reato si consuma nel momento in cui quest’ultimo riceve i file, ottenendone la piena disponibilità.


Massima ufficiale di riferimento

Il principio cardine su cui poggia la decisione è stato espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4616 del 28/10/2021 (dep. 2022), qui richiamata:

“Si ha ‘utilizzazione’ del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso.”

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