Lo spaccio di sostanze stupefacenti


Come è noto, la Legge punisce la detenzione di sostanze stupefacenti finalizzata allo spaccio (intendendo con tale termine anche la cessione a titolo puramente gratuito).

Anche la mera detenzione non finalizzata alla cessione a terzi,  ma solo per uso personale, è illegale ma la risposta dell’ordinamento è “solo” amministrativa e non penale (potendo comportare la revoca della patente, del porto d’armi, del passaporto etc.).

L’art. 73 del DPR 309/1990 (il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) prevede che la detenzione finalizzata allo spaccio sia punita con la pena da otto a vent’anni di reclusione; mentre in caso di modica quantità e/o di impiego di mezzi “rudimentali” impiegati per l’attività di cessione (art. 73 comma 5 DPR 309/1990) la pena detentiva è da uno a sei anni (rilevanti in entrambi i casi la pena pecuniaria).

Aspetto centrale dell’ipotesi accusatoria è la prova della effettiva finalità di spaccio della sostanza rinvenuta nella disponibilità dell’incolpato.

La circostanza – come detto – è di centrale importanza poiché la legge penale prevede la punizione solo nel caso in cui la detenzione sia finalizzata alla cessione; qualora il possesso della droga sia prodromico all’uso solo personale, non è prevista alcuna pena detentiva ma la risposta dell’ordinamento sarà come detto solo in sede esclusivamente amministrativa.

Ebbene, la finalità – elemento costitutivo del reato di cessione – deve essere dimostrata dalla pubblica accusa e, quindi, non sarà onere delle difesa dimostrare che lo stupefacente trovato nella disponibilità dell’accusato è per il solo uso personale.

E’ ovvio che il rilievo di tale aspetto difensivo è discriminante quando l’accertamento processuale riguarda fattispecie contraddistinte da un possesso che per le modalità e quantità può essere interpretato astrattamente sia quale attività di spaccio sia quale attività di conservazione per il successivo uso personale.

Va da sé che nel caso in cui l’attività dell’accusato non possa essere in alcun modo interpretata (ad es: il soggetto è osservato dalle forze dell’ordine mentre effettivamente vende lo stupefacente a terzi) o la quantità rinvenuta non può essere logicamente finalizzata al solo uso personale (come nel caso di colui che conserva in casa qualche chilo di droga..), la prova della “finalizzazione” allo spaccio è in re ipsa e l’accusa avrà già raggiunto la rappresentazione della colpevolezza con l’osservazione dell’attività di vendita ed il rinvenimento della droga.

Diverso, evidentemente, sarà il caso in cui un soggetto è sorpreso detenere una quantità di stupefacente che – effettivamente – si potrebbe prestare anche ad un uso “solitario” anche se protratto per più occasioni.

La riforma legislativa che ha individuato le c.d. tabelle del consumo medio non ha mutato sostanzialmente tale assetto processuale. Il mero superamento dei valori indicati nelle predette tabelle non implica automaticamente lo spaccio poiché – hanno specificato i Giudici – devono essere valutati attentamente altri indici quali ad es: le modalità di conservazione della sostanza (se frazionata o meno), il rinvenimento di materiale per il confezionamento, la disponibilità di materiale per la pesatura e per il “taglio”, la purezza della sostanza (da tagliare o già tagliata) e la disponibilità economica dell’agente.

Il dovere della Pubblica Accusa di provare la finalità di spaccio quale elemento costitutivo del reato è stato anche recentemente ribadito nella Sentenza della sezione VI^ della Corte di Cassazione (n. 19047, 10 gennaio – 2 maggio 2013) che così ha statuito: <<Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’articolo 73 del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309 non è la difesa a dover dimostrare l’uso personale della droga detenuta, ma è invece l’accusa, secondo i principi generali a dover provare la detenzione della droga per uso diverso da quello personale. Infatti, la destinazione della sostanza allo “spaccio” è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale, deve essere provata dalla pubblica accusa, non spettando all’imputato dimostrare la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente di cui si stato trovato in possesso>>.

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